L’ultima battaglia della guerra tra allevatori e ambientalisti è stata vinta da questi ultimi: il Piano nazionale per ridurre la popolazione di lupi in Italia è stato bocciato dalle Regioni. Si dirà: è una bella notizia per la tutela del nostro patrimonio faunistico. In realtà, dietro questa vicenda si cela una buona dose di ipocrisia e affiora lo scarso acume di una parte della nostra classe dirigente.
Per essere obiettivi, per liberarci dai paraocchi ideologici, basta prendere in considerazione solo alcuni numeri: negli anni ’70 si contavano nella Penisola tra i 100 e i 200 lupi, tant’è che le guardie del Parco nazionale d’Abruzzo erano solite lasciare quarti di bue sulle cime innevate per sfamare il branco e assicurare così la conservazione della specie. Ad oggi, fortunatamente, la situazione è mutata: la popolazione si attesta sui 1000-2000 esemplari. Dato di per sé positivo, se non fosse per un preoccupante incremento annuo, che si aggira addirittura attorno al 25 per cento. Il contenimento di questa specie è divenuto ormai improrogabile: basti pensare che un branco staziona da tempo attorno alle reti dell’aeroporto romano di Fiumicino e nel modenese i lupi sono arrivati ad aggredire, oltre che il bestiame, persino i cani da guardia.
Di fronte a questa situazione, ci sono solo due soluzioni: delegare “de facto”, nel silenzio-assenso delle Regioni, la soppressione ai bracconieri e ai mandriani esasperati, che ogni anno uccidono il 15-20 per cento dei lupi, oppure predisporre un piano di gestione per le decine di branchi sparsi tra l’Appennino e le Alpi.
Sull’onda della “religione ambientalista”, come la definisce il biologo Luigi Boitani, per ora si è scelto di percorrere la prima strada. Perdendo così l’occasione, l’ennesima, per varare un provvedimento per la lotta ai fenomeni del randagismo e dell’ibridazione cane-lupo, la cattura e la cura dei lupi feriti e malati, la creazione di un nucleo di cani addestrati a scoprire i bocconi avvelenati disseminati dai bracconieri e sì, nei limiti del necessario, anche l’uccisione di alcuni esemplari da parte delle guardie forestali.
Ora la questione è sul tavolo del ministro dell’Ambiente, al quale spetta decidere come e quando riconvocare le parti in causa, cioè ambientalisti e Regioni, e facilitare un approccio meno pregiudiziale e più ragionato al problema.